martedì 6 luglio 2010

Davanti ad uno specchio

E' il 6 luglio 2010. Mi sto ritrovando ad oggi senza che me ne sia reso conto... time flies indeed. 
Sono dunque nel capitolo finale di questa mia avventura americana: meno di un mese, e sarò in partenza per l'Italia, maturato da alcuni punti di vista, cambiato da altri. 

Eppure, devo quasi sforzarmi per ricordare di prima che venissi qui; come mi sentivo, cosa mi accingevo a fare, a cosa miravo. 
Ricordo ancora l'esaltata paura che mi attanagliava le viscere, in aeroporto a Milano. Il sorriso malinconico e commosso al leggere tutti i messaggi di auguri per una bella avventura di tutti gli amici. L'infantile stupore al ritrovarmi per la prima volta, e da solo, in quella realtà in immensa scala che sono gli Stati Uniti. Il piacere del vagabondare per strade sconosciute, con il rischio di perdermi, non appena giunto a Nashville. L'affaticamento mentale dopo intere giornate spese a seguire discorsi in inglese circa argomenti che avrei faticato a seguire anche in italiano. I sogni e le aspettative iniziali che si sono scontrati con una realtà del tutto differente da quella anticipata. Il forte desiderio di mostrare quanto valessi. La fine di una relazione che ancora, a tratti, mi tormentava. L'intenso senso di opprimente solitudine che avvinghiava il mio essere nella sua interezza, e l'indurirsi del core della mia persona in risposta. La decisione di focalizzarmi sullo studio e sulla ricerca, qui. 

Un timido bagliore che si fa strada con aria riservata all'interno della mia vita; un bagliore conosciuto, ma stavolta da una prospettiva del tutto differente ed inaspettata... Avevo dimenticato, o meglio, avevo voluto dimenticare quanto calore potesse portare qualcosa del genere, se glielo si permette. 

Ho accettato tutto ciò che le mie decisioni hanno comportato, sia nel piccolo, che nel grande. E da uomo che raramente lo è, mi ritrovo ad essere orgoglioso di questo. 
Ho accettato - ed abbracciato - la tristezza più profonda, la solitudine più obliante, lo scontro con il pregiudizio, la mancata comprensione, l'abbattente frustrazione; così come la gioia per il cantare, la soddisfazione nel riuscire nel nuovo, la commozione al piccolo gesto di gentilezza di un estraneo, l'empatia per l'emarginato che mi ringrazia per essere stato ad ascoltare le sue storie. 

Il mio mondo, quasi nella sua interezza, è stato distrutto per essere ricostruito in maniera differente. Plasmato, o per lo meno influenzato, da moltissime persone. Alcune che non conosco né conoscerò mai, altre che ho imparato a conoscere, altre ancora che conosco da sempre. 
Mai come ora la vita mi è parsa come una spirale: l'Indipendence Day parlavo, davanti ai fuochi d'artificio, con un mio amico. Mi diceva di come la vita e l'universo abbiano una natura circolare. Potrebbe apparire così, come gli ho risposto, da una prospettiva. Ma se ci si sposta, allora si vede che c'è un'altra dimensione, e fors'anche un'altra ancora. Ciò che prima sembrava un cerchio, diventa una spirale, che si sviluppa lungo la dimensione del tempo. A volte zig-zagando, a volte andando dritta anziché curvare, tutto ciò perché non riusciamo ad accettare delle situazioni, e ad adeguarci ad esse. 

Posso affermare con una certezza rara di essere una persona incredibilmente diversa da quella che è partita per gli Stati Uniti, ormai oltre 5 mesi or sono. E nel guardare questa nuova persona, che porta comunque ancora i segni della vecchia, sono compiaciuto: mi piace la direzione che ho preso, e che continuo ad intraprendere passo per passo. 

Ma sono altresì cosciente di come il mio merito sia ben poco: se non ci fossero state quelle persone, non sarei quello che sono ora. 

Mi impegno, qui ed ora, a ringraziare personalmente tutti voi. E non solo con una semplice parola, per quanto possa essere sincera, sentita e forte; ma ringraziare ripagando dieci, cento volte tutto ciò che mi avete dato, se ne avrò le capacità. 

Ora, mi ritrovo ad amare la vita. 
E mi sto rendendo conto di come questo stia portando la vita ad amare me

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