venerdì 31 agosto 2007

Fate

[Bleak:]
You change the sound of my name
A moment of truth that I saw in your face
It hurts inside, a moment this vile
That you brought alive
All the roads lead back to you

[Ana:]
Give me something to return to
In your heart
I fear nothing but to leave here
Without you for life
We were left in this world for each other
But I can't run from the fate
I've been fighting for so long

[Bleak & Ana]
You made me who I am
Until the dawn of time I have...

[Bleak:]
...walked alone
You tie up a storm
When all hope was lost
But time revolves
I have to let go

[Bleak & Ana]
One never meant to be

[Bleak:]
Give me something to return to in your heart
I fear nothing but to leave here
Without you for life

[Bleak & Ana]
We were left in this world for each other
But I can't run from the fate I've been fighting for so long

[Bleak:]
Give me something to return to in your heart
I fear nothing but to leave here
Without you for life

Give me something to return to in your heart
I fear nothing but to leave here
Without you for life

[Bleak & Ana:]
We were left in this world for each other
But I can't run from the fate I've been fighting for so long

We were left in this world for each other
I can't run from the fate I've been fighting for so long


Fate, Bleak ft. Ana Johnsson

lunedì 27 agosto 2007

Quando si fa ritorno...

...Fa uno strano effetto notare che tutto è come prima.
Tu sei cambiato, maturato sotto qualche aspetto, pronto a cogliere differenze rispetto a prima ed in un certo senso ansioso di farlo, come a mettere alla prova "ciò che hai di nuovo".
Eppure nulla è cambiato, tutto esattamente come prima.

Alcuni in genere ci fanno affidamento, su una cosa del genere: in fin dei conti è confortante sapere che la maggior parte delle cose rimane uguale, dalle piccole alle grandi... personalmente tendo ad annoiarmi e a rompermi le ba**e nel non constatare la benchè minima differenza nella funzione monotòna della vita.


Perchè la maggior parte delle persone ha paura del cambiamento? Mi viene in mente una storiella Zen, con cui lascerò i miei lettori in questo post.
(Il racconto è il medesimo, le parole no: lo racconto ricordando ciò che mi è rimasto impresso nella memoria e nella mente)


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In un piccolo paesino viveva un monaco virtuoso, rispettato e indicato da tutti come un uomo saggio e onorevole, nonostante a lui non importasse molto di essere chiamato tale.
Accanto alla sua abitazione viveva una famiglia, la cui figlia rimase incinta. I genitori della ragazza la interrogarono a lungo su chi fosse il padre, e lei dopo un po' disse che si trattava proprio del monaco.
I genitori, infuriati, presero il bambino e andarono dal monaco, accusandolo per ciò che aveva fatto, e consegnandogli il piccolo, di cui avrebbe dovuto prendersi cura.

"Ah, sì?", fu tutto ciò che il monaco disse.
Prese dunque con sè il bambino, procurandosi tutto ciò di cui questi aveva bisogno. La reputazione del monaco crollò, ma a lui non importava.

Dopo un anno, la ragazza non resistette più, e in lacrime confessò ai genitori che il vero padre del bambino non era il monaco, bensì il figlio del macellaio.

I genitori, profondamente dispiaciuti, andarono dal monaco chiedendogli perdono e raccontandogli come fossero andate le cose.

"Ah, sì?", rispose il monaco.

venerdì 17 agosto 2007

Quando si va avanti per inerzia...

...o non si sa neanche più il motivo ma lo si fa comunque, dire che è bello trascorrere una mattinata così piacevole è un eufemismo.
Vi dirò, sarà che da un bel po' di tempo a questa parte non ho occasione di fare delle vere e proprie uscite con degli amici (per svariati motivi, ma intendo proprio persone con cui mi trovo davvero bene), ma avevo quasi dimenticato di che semplice bellezza potesse rivelarsi del tempo speso in tutta tranquillità e serenità con qualcuno con cui ci si trova bene.
E non lo dico per gli scherzi e le scemenze che hanno preso praticamente l'intero corso della mattinata; per l'intesa immediata al vedere il tizio strano di una qualche pseudo-associazione fittizia alla ricerca di soldi che fa insinuazioni forse per qualcuno imbarazzanti, ma sotto un certo punto di vista piacevoli, oppure della ragazza che chiede l'elemosina facendoti il verso; per la granita di limone con conseguenti vanterie (mie XD) su come si riesca a farla meglio; per l'entrata in qualche negozio che vende peluches
[NdE: so che non dovrebbe andarci la "s" alla fine, dato che scrivo in italiano, ma me ne frego e guai a chi rompe :P ] e oggettini pucciosi e per i piccoli imbarazzi (questi non miei XD) che ne conseguono ad una qualche iniziativa (questa volta mia <.< :P).

Credo sia una della poche volte in cui se qualcuno mi chiedesse "Come va?", io potrei sinceramente rispondere con "Bene!", anzichè il solito "Come di norma".

Grazie Rory ^_^

lunedì 13 agosto 2007

Faccio pubblicità e ne vado fiero

Per la serie "studio qui e ne vado orgoglioso", non posso non segnalare un link di un servizio fatto dalla Rai ai dipartimenti di Chimica dell'Università di Pavia:

Okkupati, scienziati e professionisti di qualità

Efffforza Pavia! :D

domenica 12 agosto 2007

I desideri, le voglie, e le paure

Questo post nasce da una riflessione nata in me durante una conversazione con una mia amica.

Ciò che vedo sempre più spesso, in molte persone, è sostanzialmente una gran voglia di fare molto. Nutrono un forte desiderio di agire, di compiere qualche cosa di particolare o più generale, ma alla fine si limitano, pongono un freno alle loro iniziali intenzioni, e non agiscono.

Voglio far notare fin da subito: non critico queste persone. Al contrario, le comprendo. Questo perchè mi ci sono spesso trovato anch'io, in passato, e a volte mi ci trovo nuovamente - nonostante i miei sforzi perchè così non sia.

La domanda è: cosa è a fermarci? Quando vogliamo fare qualcosa, quando sentiamo dentro di noi che quel qualcosa è giusto, perchè alla fine non agiamo?

Per dare una risposta generale, direi: la paura.
Che sia la paura delle immediate conseguenze, delle risposte che potremo ricevere, di vedere deluse le nostre aspettative... è di questo che credo si tratti in buona parte dei casi (non posso ovviamente dire "sempre"). Ne sono convinto.

Ad ingigantire l'ombra gettata da queste paure e questi timori, sta un punto di vista che ho potuto constatare essere sufficientemente diffuso: la convinzione che per prendere una decisione ci vogliano uno sforzo e un tempo abnormi rispetto a quelli effettivamente sufficienti e adeguati (questo ho avuto modo di constatarlo con un mio collega e amico di università, che ad inizio anno si è ritrovato fortemente indeciso circa quale svolta prendere nella sua carriera universitaria).

Chi leggerà quanto scritto, dovrebbe - giustamente - domandarsi: "Ammesso sia effettivamente così... quindi? Cosa si può fare?".

Non mi sento di poter dire "questo è quello che bisogna fare". Questo perchè le variabili costituite dalle differenze tra persona e persona, e situazione e situazione, sono pressochè abissali.
Da parte mia, non posso che dire quello che ho avuto modo di apprendere attraverso le mie personali esperienze: ciò che a volte, nell'indecisione, nella paura, mi fa dire "Sai cosa? Vaffan****, io lo faccio!!".

Quel qualcosa è - ironico quanto ossimorico, me ne rendo conto - un'ulteriore paura. Un altro timore, di senso opposto, ma di intensità più accentuata.

Quello che intendo, in pratica, è: io mi ritrovo in una determinata situazione in cui posso cogliere un'occasione, auspicabilmente a mio favore. Statisticamente parlando, so che le probabilità che la stessa occasione si ripresenti sono abbastanza basse (a seconda della natura stessa dell'occasione).
Quindi, se io non agissi, perderei quella possibilità. E certo come il giorno sussegue alla notte, dopo sentirei un forte rimpianto, una tristezza, una rabbia... tutte dettate dal non essere riuscito a sfruttare l'occasione che mi era stata posta dinnanzi o che mi ero affaticato a creare io in prima persona.

Mi è accaduto, in realtà più volte, ma solo una per cui nutra ancora un vivido e sofferto rimpianto. Quindi so che sarebbe così.

A quel punto non ho che una soluzione: afferro tutto il coraggio che so di possedere, nonchè buona parte di quello che non pensavo di avere, e mi faccio avanti. Faccio quanto in mio potere per sfruttare quell'occasione. Se poi la cosa non andrà comunque a buon fine, poco importa!
Ovvia sarà la delusione, il pentimento iniziale "Non avrei dovuto farlo, adesso ci sono rimasto fregato", ma posso dire con assoluta sicurezza (almeno per quanto concerne strettamente il sottoscritto), che dopo un determinato periodo di tempo, variabile a seconda della situazione, mi sentirò comunque soddisfatto. Soddisfatto per come abbia agito, per come mi sia comportato, sfruttando quella piccola influenza che posso esercitare negli intricati trama e ordito del mondo che mi circonda.

Almeno avrò la certezza. Non nutrirò il rimpianto "Chissà, magari se avessi fatto così, allora le cose avrebbero potuto andare diversamente...". E' il non sapere ciò che è in grado di tormentare i nostri animi* , l'incertezza, il dubbio. Il non poter avere la risposta a certe nostre domande.

Ovviamente quanto scritto vale per me, ma non è necessariamente detto valga per chiunque legga. Quello sta a voi scoprirlo e/o ammetterlo.


*[NdEladrin: sì, "i nostri animi", al plurale. In futuro magari scriverò circa questa mia espressione. Anticipo solo che chi conosce un minimo di Hermann Hesse o fors'anche di Pirandello può già capire di cosa parlo]

sabato 11 agosto 2007

E mi davano dell'insensibile

Con questo post voglio segnare una svolta per questo blog.

Il titolo si riferisce a qualche episodio del passato, in cui sono stato definito direttamente o meno come "insensibile", di fronte ad alcune dimenticanze o notizie.

Non che in genere mi importi molto, devo dire, ma voglio comunque esprimere il mio punto di vista.

Ecco cosa leggo scorrendo i titoli de Il Corriere:
- Livorno, incendio in campo rom: morti 4 bambini
- Sanremo, sgozza per strada la fidanzata
- Uccide la convivente e poi si impicca
- Cade aereo in Polinesia, 20 morti
- Gerusalemme, ucciso palestinese
- Salerno, rissa in discoteca, muore 21enne

Devo continuare? Non credo.

Ora, mi chiedo... come si può reagire di fronte a tutte queste notizie?
E' normale che mi dispiaccia, che mi commuova, che mi inca**i, che mi frustri... ma posso andare avanti così ogni giorno, per tutta la vita?
La mia risposta è: no. Comprendo chi possa arrivare ad additarmi come insensibile, ma sinceramente preferisco cercare di non badare a tutte queste cose. Non fraintedetemi, non significa che non me ne frega nulla, ma semplicemente che cerco di non dispiacermene più di un tot. E sapete perchè?
Semplice: perchè non c'è nulla che io possa fare. A questo punto, lo struggermi non vedrebbe nessun altro punto se non quello dell'abbattermi moralmente e mentalmente, e a lungo andare possibilmente depressione, rabbia, e chissà cos'altro.

Ho una mentalità abbastanza pratica. Ormai sono arrivato alla conclusione che conviene pensare a tutte queste cose come "la norma", e a considerare invece rare le cose belle. In fin dei conti, sono proprio quelle che ci fanno tirare avanti, non credete? Non necessariamente "i miracoli", ma anche le piccole cose, che consistano nel condividere una risata sincera con un amico, o nel constatare come ci siano delle coincidenze talmente grandi nei pensieri di due persone da farti pensare che è probabilisticamente impossibile che qualcosa del genere accada (non è vero, Rory? ;) ).

In pratica, per rifarmi alla morale di una storiella zen, e a quella di un proverbio cinese, preferisco sorridere nell'osservare le piccole cose belle che ciò che mi circonda può riservare. Così come il monaco della storia apprezza la prima fragola della stagione prima di precipitare nel burrone; con quel sorriso che sorge spontaneo al vedere qualche "fiore" perfino sulla strada che conduce agli inferi.